Incontriamo Philippe Léveillé in una mattina di inizio settembre, una di quelle giornate in cui l’estate strizza l’occhio, dimentica che a breve dovrà congedarsi.
Quando varchiamo la soglia del Miramonti l’Altro, il ristorante di Concesio diventato un’istituzione nel panorama bresciano e nazionale, complice anche le due stelle Michelin che lo accompagnano, lo chef bretone ci accoglie con il consueto sorriso spumeggiante, l’accento francese che incornicia la parlata fluente e lo sguardo vigile di chi si appresta a tuffarsi nella sua più grande passione: la cucina. O, in questo caso, una componente fondamentale della cucina che tanto ama: il burro.
Sì, perché il protagonista della nostra intervista è proprio questo alimento, che nella tradizione culinaria francese ha un ruolo di grande spessore, tanto da aver convinto lo stesso Léveillé a dedicargli un romanzo, edito da Giunti, dal titolo “La mia vita al burro”.
Del resto, che il burro francese sia considerato tra i migliori al mondo, e persino migliore di quello italiano, è noto. Eppure, in Italia, il burro è da decenni additato come un elemento dannoso per la salute. Siamo partiti proprio da qui, dal perché di questa fama, chiedendolo a uno dei suoi maggiori estimatori.
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